Staking di criptovalute e tassazione
Il Tuo Commercialista OnLine, Fiscoeasy, propone un approfondimento sul tema delle criptovalute.
La risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, all’interpello n. 437 dell’agosto 2022, ha chiarito da un punto di vista fiscale la modalità di tassazione dei redditi in capo alle persone fisiche dell’attività di staking di criptovalute.
La staking è un processo attraverso il quale vengono messe a disposizione di una piattaforma le proprie criptovalute per convalidare, attraverso un meccanismo detto di Proof of Stake, nuovi blocchi della blockhain. In pratica è un ulteriore modalità per ottenere dei rendimenti aggiuntivi dalla detenzione di valute virtuali bloccandole per un certo periodo su una piattaforma di criptovalute.
Il reddito ottenuto dal detentore di criptovalute che decide di “bloccare” le sue valute virtuali nel processo di staking, in base alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, è inquadrabile tra i redditi di capitale così come previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h) del TUIR.
Pertanto le remunerazioni in criptovaluta, percepite da una persona fisica, acceditate nel wallet (portafoglio elettronico) da una società italiana sono soggette all’applicazione della ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 26% e quindi il contribuente italiano deve indicare tale remunerazione nel Quadro RL della propria dichiarazione dei redditi. In relazione agli obblighi di monitoraggio fiscale, dato che il wallet è detenuto presso una società italiana, il contribuente non è tenuto alla redazione del Quadro RW.
Se la remunerazione in criptovalute da attività di staking deriva, invece, da una società non italiana quest’ultima non esegue l’applicazione della ritenuta d’acconto e pertanto il contribuente deve indicare il reddito ricevuto nel Quadro RL della dichiarazione dei redditi tuttavia senza detrarre nessun importo come ritenuta d’acconto. In questo caso il contribuente deve anche adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale redigendo il Quadro RW in dichiarazione dei redditi. Le valute virtuali non sono oggetto di tassazione ai fini dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (Ivafe).
Attraverso la risposta n. 788/2021 l’Agenzia delle Entrate ha specificato che l’obbligo di monitoraggio sussiste sempre quando le criptovalute sono detenute presso piattaforme estere indipendentemente dal controllo o meno della chiave privata da parte del contribuente (custodial/non custodial wallet).
La risoluzione n. 72/E del 2016 rimane, invece, il punto di riferimento per la modalità di tassazione, ai fini delle imposte sul reddito, dei contribuenti (persone fisiche) che detengono valute virtuali al di fuori dell'attività d'impresa. In questo caso alle operazioni in criptovaluta si applicano le regole generali che riguardano le operazioni in valuta estera. Pertanto le operazioni in valute virtuali generano un reddito che rientra nella categoria dei redditi diversi e, visto che bisogna far riferimento alla normativa contenuta nell’art. 67 del Tuir, le plusvalenze derivanti da conversione di valute virtuali, per effetto di operazioni a pronti (le cessione a pronti sono quelle in cui si ha lo scambio contestuale di una valuta contro una valuta differente), sono tassabili se la giacenza media dei wallet ha superato per almeno sette giorni lavorativi l’importo in euro di 51.645,69. Le cessioni a termine di valute virtuali sono, invece, sempre fiscalmente rilevanti.
La plusvalenza andrà dichiarata nel quadro RT della propria dichiarazione dei redditi e tassata con l’aliquota del 26%.
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